zoom fatigue

Stress, Tecnostress, Zoom e Covid Fatigue

Perché parlare di stress, ora?
Perché ci siamo dentro, mani e piedi. C’è qualcosa dall’esterno, un virus che non si vede, che ci ha cambiato la vita: il modo di relazionarci, con la mascherina; le relazioni personali, con il distanziamento sociale; gli affetti, non potendo abbracciare mia madre o i miei cari per il rischio di arrecarle danno.
E non è finita. Ci ha anche messo contro, siamo tifosi o meglio nemici, tra chi ci crede e chi non ci crede, chi si affida alla scienza e chi si affida a sé stesso e alle proprie, presunte, conoscenze.

E lo stress aumenta. Perché devo ricordare agli altri ogni volta di stare a distanza, di mettere bene la mascherina, di evitare di stare a contatto, soprattutto in luoghi chiusi.
Non è un dispetto, è un mio diritto. Ed anche una regola per ora.

E siamo uno contro l’altro anche per il lavoro.
Alcuni lo hanno perso. Altri ce l’hanno garantito. Altri ancora continuano a lavorare, magari più di prima. A tutti, comunque, è chiaro che il lavoro non sarà più quello di prima, in nessuna circostanza.

E siamo sempre in allerta, sul lavoro.
Il lavoro è a casa, in cucina, nel salone. È insieme a persone che prima non lo vedevano, non se ne occupavano, non lo vivevano. Ora si, alcune volte si intromettono, altre capiscono finalmente che lavoro fai e quanto potrebbe essere duro.

Work-Life Balance, così lo chiamano gli americani.
Un bilanciamento tra vita privata e lavoro prima era difficile per orari ed impegni sempre più invasivi. Ora diventa strano e complicato per una commistione che non è solo psicologica, è anche fisico-logistica.

Di questo ne parlo in un altro articolo scritto a quattro mani, in questo caso con il Dott. Stefano Magno, Direttore Center for Integrative Oncology – Fondazione Policlinico Gemelli.

Stress? Si, parliamone

Provo a dare una cornice di senso, ed alcune risposte, al termine stress.
Perché tendiamo a tutto quello che non è conosciuto genera stress.

Siamo in una fase in cui tutti litigano: politici, tecnici, virologi, infettivologi, manager e chi più ne ha, ne metta.
C’è una definizione che mette invece d’accordo tutti, medici, scienziati, psicologi: “lo stress è una reazione di adattamento alla realtà ed è il comportamento di risposta dell’uomo alle richieste dell’ambiente esterno”.

Quando vi è stress?
Non si può non provare stress.
Quando l’ambiente esterno che richiede una risposta, lo stato di mobilitazione di energie, capacità, azioni ed emozioni è stress. Lo stress è una risposta ad una situazione che cambia, e non è sempre uguale: con l’Eu-stress viviamo con benessere la nostra risposta alle richieste dell’ambiente, con il Di-stress viviamo con disagio la nostra risposta alle richieste dell’ambiente.
In linea generale potremmo dire che il bottone che attiva lo stress ha sopra scritto imprevedibilità.

Qual è il problema? Che viviamo nel cosiddetto VUCA WORLD, di cui ho già parlato nei miei precedenti articoli, cioè in uno stato di perenne volatilità, instabilità ed incertezza.
La conseguenza? Entriamo ed usciamo sempre più rapidamente da stati di stress, che diventano quasi continui tra loro.

Quali tipologie di stress esistono?
In presenza di di-stress, lo stress negativo, si rileva una presenza di ormoni tossici nell’organismo, tra cui il cortisolo. Non è solo l’ampiezza e l’intensità delle richieste a determinare l’esperienza di stress, ma la qualità della relazione tra le richieste dell’ambiente e la persona che le percepisce.
Il di-stress nasce dalla discrepanza, vera o presunta, tra le richieste della situazione in cui ci si trova e le risorse a disposizione per farvi fronte.

Soggetti diversi sottoposti allo stesso stress sembrano reagire in modo diverso. È scientificamente corretto?
Ciascun individuo tende a “specializzarsi” utilizzando in modo caratteristico le stesse difese nelle stesse situazioni. Le difese poi tendono a svilupparsi lungo un continuum di adattamento-disadattamento: sono adattive quando aiutano a fronteggiare e a sostenere la relazione con la realtà; sono disadattive quando impediscono e limitano la relazione con la realtà.
Vi sono delle differenze individuali nello stress sperimentato dalle persone, nello sforzo di adattamento alle richieste dell’ambiente, derivanti da:

  • percezioni della realtà
  • immagine e sentimento di sé
  • carattere
  • fiducia in sé e negli altri
  • attese verso l’ambiente
  • esperienza passata
  • differenze nelle attività di coping

Ciascun individuo possiede un livello personale di benessere nel rapporto tra capitale di energia disponibile, motivazioni all’impiego di energia, sollecitazioni e richieste dell’ambiente.

Il benessere è direttamente proporzionale alla capacità di adattamento: nel nostro famoso mondo VUCA – volatile, incerto, complesso, ambiguo – senza flessibilità, creatività, resilienza, adattamento, saremo travolti o quantomeno avremo grandissime difficoltà.
C’è un legame tra il vissuto di stress e il sentimento di controllo della mia realtà:

  • cosa desidero controllare
  • cosa temo di non controllare
  • quali capacità credo di avere o non avere per controllare la realtà

C’è un’altra risorsa che possiamo avere a disposizione: il set cognitivo, che determina su cosa ci focalizzeremo, ma anche cosa trascureremo e cosa escluderemo. Orienta la nostra valutazione della realtà, ed è il risultato di aspettative, interessi, preoccupazioni, esperienze e desideri.
È quello che nel Coaching viene chiamato SAR, sistema di attivazione reticolare.
È una risorsa in alcuni casi che si attiva volontariamente ma allenando il “muscolo della nostra attenzione” la possiamo avere a nostra disposizione quando vogliamo

Perché?
Perché l’attenzione è un processo cognitivo primario senza il quale non possono esserci gli altri come la memoria, ad esempio. 

Ci sono delle azioni che andranno bloccate, ci sono dei momenti in cui bisognerà dire “non ce la faccio”.
Ci rimane difficile, lo so, e c’è un perché, anche un “percome”.

Viviamo nel “frattempo”: il tecnostress

Viviamo nel mondo della perfomance.
Con un ricatto sotteso: perfetti, belli e subito.

A volte siamo talmente concentrati nella performance immediata da dimenticarci qual è l’obiettivo.
In alcune sessioni di executive coaching, faccio una domanda semplice e cattiva allo stesso tempo: quali sono i tuoi obiettivi strategici?
Spesso i manager mi rispondono in KPI, allora riformulo: quali sono i 3 accidenti dannatissimi obiettivi che se canni ti defenestrano?
Lo so, noi Coach e formatori siamo bastardi dentro, per definizione 😊
Ma il mio ruolo è di fortificare ancora di più quello che è forte e di scovare nuove risorse e allenarle. Quindi devo partire dall’inizio, il vero inizio.

Le nuove tecnologie modificano il rapporto tra spazio e tempo.
Ormai tutto è “istant”: l’accesso, il marketing, la fruizione di contenuti multimediali. Tutto.

  • Percorrendo lo spazio in una frazione di secondo, si crea una temporalità immediata che annulla la durata;
  • Il tempo sequenziale, cronologico, irreversibile è diventato un tempo immateriale affrancato dalla durata.

Le nuove tecnologie modificano il rapporto tra finanza ed economia:

  • I mercati finanziari potenziati dall’istantaneità guidano l’economia. La logica degli azionisti condiziona la logica del management;
  • La parità delle imprese nelle condizioni di accesso allo spazio sposta la competitività sul tempo: la velocità è requisito per guadagnare dei nuovi spazi/mercati;

E qui si scatena il conflitto.
Perché il tempo dei mercati finanziari, in costante accelerazione, entra in conflitto con il tempo politico delle democrazie, il tempo strategico delle imprese e il tempo psicologico degli individui.

Quindi?

Il tempo ha perso spessore.
Viviamo spezzettati in vari tempi. E in vari luoghi. CONTEMPORANEAMENTE.
Nella testa della maggior parte di noi ci sono tre parole principali:

  • istantaneità
  • velocità
  • immediatezza

 L’urgenza è diventata il simbolo delle caratteristiche del nuovo rapporto al tempo.
Prima di dare i sintomi, differenti dallo stress “e basta”, vi chiedo di fare due esperimenti.

Il primo esperimento, anche ora che state leggendo: andate sul menù impostazioni del vostro telefonino è cliccare sulla voce tempo medio di utilizzo. (Paura???)
Una tremenda ricerca mostra che in una fascia di età compresa tra i 35 ed i 50 anni questo tempo è 7 ore. SETTE ORE.
E la brutta notizia, se quella di prima non basta, è che questo non è l’unico device che usiamo.
Il secondo esperimento: durante il fine settimana, o la sera quando avete finito di lavorare, spegnete lo smartphone per 3 ore.

Avete letto bene.
State con chi dovete stare, figli, moglie, marito, cane, cavallo. Tre ore senza telefonate, email, whatsapp e social media.
Vi viene l’ansia che dovete rispondere per forza? È un sintomo 😊
Provate a farlo, a sconnettervi per un po’, agli inizi è un po’ dura, ma poi diventerà un rito di benessere.
Promesso.

La quantità di stimoli a cui siamo normalmente sottoposti
in una settimana della nostra vita è superiore alla quantità complessiva
di stimoli a cui furono sottoposti i nostri nonni in tutta la loro vita

Il cervello è corpo

Esattamente come un braccio che sottoposto a sollevare un peso eccessivo si fa male, anche il cervello si fa male quando è sottoposto ad un “peso” (stress) eccessivo.
Alcuni esempi? Eccoli.

Vi è mai successo che mentre siete in una videochiamata di ricevere una mail con oggetto “urgente” e se non rispondete subito vi arriva il whatsapp “hai letto la mail?”
Questo dover rispondere subito mi sfianca, mi sfinisce.

O ancora, state seguendo una videoconferenza e l’host vi “muta” il microfono e voi non potete parlare. Succede che il relatore dice qualcosa con la quale non siete assolutamente d’accordo, umanamente vorreste rispondere, ma non potete e allora vi arrabbiate con il computer, il tablet o lo smartphone…che sono semplicemente dei “cosi” inanimati.

E questa è la zoom fatigue, una parte del tecno stress, la sindrome da stanchezza psicologica da videochiamate (Gianpiero Petriglieri, professore associato di Insead e Marissa Shuffler, professore associato della Clemson University).

Frustrazione, è il sintomo del tecno stress.
Che ha una sorella gemella siamese che si chiama rabbia.
Quali sono gli effetti fisici di questa situazione?
Al cortisolo richiamato all’inizio dell’articolo si aggiungono in dosi massicce adrenalina e dopamina. Si la dopamina, quella che vuole un premio o una vendetta.

Il paradosso in tutto questo è che, anche se mi rendo conto che ho preso una sonora cantonata, una volta che i neurotrasmettitori sono partiti non li posso rimandare indietro.
Già, c’è bisogno di un tempo tecnico di riassorbimento che dura tra 20 minuti e mezz’ora, nel quale anche sono cosciente di non essere arrabbiata, sono “fisicamente” arrabbiata.

E allora che faccio?
Metto le mail al veleno che stavo per scrivere in bozze, non faccio la telefonata al vetriolo che stavo per fare e respiro.

E Respiro.
Respirare è il nostro alleato. Lo so che vi viene da sorridere, del resto la vostra obiezione potrebbe essere “respiro altrimenti sarei morto”.

Come respiri?
Questo è il punto. Perché quando il bottone stress viene spinto, parte il nostro Sistema Nervoso Autonomo.
Che è autonomo, appunto. Regalo il battito del nostro cuore, la sudorazione etc.
Precisamente è il Sistema Ortosimpatico che viene chiamato.

E l’unica cosa sulla quale ho il potere di agire, è il respiro.
Quello vero, quello di quando ero neonata. Quello profondo, di diaframma, che fa arrivare ossigeno al cervello. Inspiro piano, gonfio la pancia espiro piano sgonfio la pancia: e quella mail la sposto nel cestino, e per quella famosa telefonata ho ora abbastanza tempo per calibrare bene le parole.

Quanti cervelli abbiamo?

Il Dott. Stefano Magno, Direttore Center for Integrative Oncology – Fondazione Policlinico Gemelli, affronta ora un argomento.

La mente non ha nulla di astratto, lavora attraverso impulsi elettrici e messaggi biochimici e non è confinata in una scatola cranica. Ogni viscere del nostro corpo genera emozioni, in particolar modo l’intestino, giustamente definito il “secondo cervello”.

Anche se in realtà è il nostro “primo” cervello emotivo, considerato che produce circa il 90% della serotonina circolante nel sangue, uno dei principali mediatori del tono dell’umore.

Già, proprio l’intestino, a torto relegato alla sola funzione di tubo digerente, e contenitore di materiali di scarto), in realtà assolve innanzitutto le funzioni di frontiera tra ciò che è esterno al nostro organismo e ciò che è interno, ciò che deve essere assimilato e ciò che deve rimanere fuori, tra self e non self.
Per tale motivo, l’intestino è sede di una raffinatissima modulazione del sistema immunitario e di una regolazione tra meccanismi di tolleranza/ accettazione dello “straniero” o di suo respingimento tramite l’infiammazione, a difesa dell’organismo (la polizia di frontiera).
Quindi, prendersi cura dell’intestino e delle sue funzioni fisiologiche equivale a migliorare anche molti aspetti “mentali” ed emotivi.

Il corpo-mente ha una sua sapienza, che spesso non sappiamo ascoltare.
Per un efficace auto-ascolto abbiamo bisogno di due cose:

  1. silenziare il “rumore di fondo” – impegni, scadenze, ansie, rimuginazioni, paura etc.
  2. porre attenzione al momento presente e a ciò che vi si svolge (mindfulness).

Se impariamo ad ascoltarci, scopriamo una profonda sintonia, in assenza di condizioni patologiche, tra il proprio benessere psico-fisico e la promozione della salute.
In altri termini, la cura del sé e del proprio benessere coincide, secondo una robusta evidenza scientifica, con un’efficace prevenzione delle maggiori malattie croniche del nostro tempo (infarti, ictus, un gran numero di tumori solidi, diabete).

Non solo, ci mette in condizioni di gestire al meglio l’inevitabile stress quotidiano, attraverso una maggiore resilienza e competenza immunitaria, e di far fronte a malattie infettive virali, come quella pandemica attuale. Non è quindi un caso che la maggiore letalità da COVID si registra in soggetti immunocompromessi, in relazione a patologie concomitanti e all’età.

Ma c’è di più.
Tantissimi gli studi, come questo ad esempio, suggeriscono che le attività preventive più efficaci non hanno a che fare con rinunce e privazioni, ma con il perseguire attività piacevoli, in sintonia con le nostre attitudini e preferenze. Attività che privilegino il soddisfacimento di bisogni elementari (appetito, movimento, riposo, appetito sessuale, svago) attraverso la moderazione, la varietà, la convivialità, lo scambio.

Non vi sembra un messaggio straordinariamente liberatorio e motivante?

Riservando uno o più spazi della giornata al proprio benessere, attraverso atti di sano egoismo, possiamo preservare il bene più prezioso, la salute, ed imparare a rafforzare le nostre capacità di fronteggiare lo stress, allenandoci a realizzare le nostre attitudini, e diventare ciò che siamo.

A patto che si rispettino alcune regole, che vanno viste come opportunità piuttosto che come vincoli.

Vediamo brevemente quali.

Nell’alimentazione, la regola principale è la varietà, inclusa la territorialità e la stagionalità. I pattern alimentari più salutari negli studi scientifici non sono quelli restrittivi, ma quelli più inclusivi, come la dieta mediterranea.

L’esercizio fisico, di qualunque tipo (aerobico, di resistenza, di flessibilità ed elasticità), ha effetti preventivi e, entro certi limiti, curativi paragonabili ad un farmaco a basso o nessun costo, pressoché privo di effetti collaterali, se non favorevoli.
Dalle attuali evidenze scientifiche, per stare bene non è necessario aumentare l’intensità degli sforzi, se non si è atleti, ma la loro durata e frequenza. Qui avete un primo approfondimento https://bjsm.bmj.com/content/54/24/1451
Nella maggior parte degli studi, una passeggiata all’aria aperta è un ottimo esercizio, alla portata di quasi tutti, ed ha un effetto antidepressivo paragonabile se non superiore ai farmaci.
Peraltro, in un periodo di forti restrizioni come quello dell’attuale emergenza Covid, è una delle attività più sicure dal rischio di contagio.
La conta dei passi giornalieri, anzi settimanale, è un parametro di salute ben più affidabile rispetto al peso corporeo, anche se ad oggi ampiamente sotto-utilizzato nella pratica clinica (https://bjsm.bmj.com/content/54/24/1499).

Il sonno non è soltanto necessario alla nostra “ricarica”, è un’attività indispensabile alla vita per rendere più efficiente il sistema immunitario, i meccanismi di memoria e il controllo dell’appetito. Proprio così: chi dorme poco e male, è dimostrato, consuma più alimenti calorici il giorno successivo e tende al sovrappeso. Sarebbe il caso di dire, “chi dorme non piglia peso”.
Ma attenzione, un eccesso di sonno (in genere, oltre le 9 ore giornaliere) peggiora lo stato di salute.
Anche in questo caso, la moderazione è la chiave del successo (anche un eccesso di vitamine può essere dannoso).

Quanto all’importanza di relazioni sociali e sessuali gratificanti ai fini del contenimento dello stress, ci sono ormai così tanti studi e riscontri da aver materiale non solo per un capitolo o un articolo a parte, ma proprio per un libro.

Infine, in tutte le culture esistono dei comportamenti o stratagemmi per la gestione dello stress attraverso tecniche di respirazione e meditazione. Non dovete pensare che per meditare sia necessaria un’attitudine allo stare immobili, concentrati sul nulla, in cima ad una montagna: come proposto nel paragrafo precedente con un piccolo ma efficace esperimento, la più elementare forma di meditazione è spegnere input esterni, tablet e cellulari, porre attenzione al momento che si vive, all’ambiente circostante e al proprio respiro, lasciando andare il pensiero dove vuole.

Possibilmente in movimento, perché il corpo-mente in movimento (corsa, nuoto, bici o passeggiata) aiuta il flusso dei pensieri.