Settembre.
Da tanti anni “settembre is the new gennaio”, per molti è il mese della vera ripartenza, delle nuove idee, dei cambiamenti. Fino al 2019.
Perché quello che sto vedendo a settembre 2020 a livello nazionale, sia che si tratti di consulenze a singoli o ad imprese, è una paura serpeggiante.
Paura del Covid? No.
E allora di cosa? Della più famosa delle paure, quella dell’ignoto.
Aziende col freno a mano tirato, per comprendere quali saranno i prossimi passi legislativi.
Persone che non sanno quando e come i figli andranno a scuola.
Aziende che non sanno su quali clienti possono ancora contare.
Persone che non vogliono tornare in azienda a determinati ritmi, ora che hanno scoperto lo Smart Working.
Aziende che non sanno come gestire le risorse umane in questa nuova era.
Persone che invece ci vogliono tornare perché a casa si stressano ancora di più.
So che lo sapete, che lo state vivendo sulla vostra pelle.
E se non dico nulla di nuovo, qual è il mio compito in questa fase?
Lo stesso che ho svolto nei precedenti articoli: fornire strumenti di riflessione e di passi pratici per chi vorrà rimettersi in gioco in questo momento, proposti con una serie di articoli focalizzati su stress e resilienza. E, come da tradizione, molti di questi saranno scritti a più mani, per analizzarli da una panoramica più ampia e fornire strumenti a 360 gradi.
Resilienza, cosa non è
Togliamo subito ambiguità intorno al termine resilienza, dichiarando ciò che non è.
La resilienza non è il contrario dello stress.
È importante, perché, se si sbaglia la diagnosi si sbaglia la cura.
Cosa è quindi la resilienza? È facile trovare in giro la definizione presa in prestito dall’ingegneria:
“La resilienza è la capacità che ha un materiale, sottoposto a stress,
di tornare al suo stato originario”.
Quindi?
È una competenza. Prima buona notizia.
È geneticamente data, qualcuno direbbe innata. Seconda buona notizia.
“Alessandra, solitamente dopo le buone notizie arrivano anche quelle cattive”.
Si, capita. In questo caso non è una cattiva notizia bensì una complicazione: gli esseri umani non sono un materiale.
“Questo si sa!” Si, è bene ricordarlo, perché a volte leggo o sento discorsi in cui si considerano automatici dei passaggi che non lo sono, proprio perché non siamo materiali ma essere umani.
Volete qualche esempio? Eccolo.
“Quest’esperienza del Covid-19 ci cambierà in meglio”
“La sofferenza ti rende migliore”
“Aspettiamo che torni come prima, il tempo aggiusta tutto”
Ogni volta che sento o leggo una cosa del genere mi viene in mente il pongo, o la plastilina o il didò o come preferite chiamarlo.
Perché asserire una delle due frasi scritte sopra è come dire: ”Prendo una pallina di pongo, la appiattisco fino a che non diventa finissima, poi ci faccio delle striscioline, le arrotolo, ci faccio una rosa, poi quando mamma mi “intima” di mettere in ordine, lo ri -lavoro e ridiventa una pallina”.
Siamo composti di tanti ingredienti noi. Alcuni visibili, alcuni invisibili.
E da come si combinano, in quel processo straordinario e non automatico, che può scaturire la resilienza.
Quindi, cosa siamo noi essere umani?
Siamo chimica, biologia, fisica, siamo…elettricità.
Siamo poi cultura, famiglia, attaccamento, esperienza, arte.
Siamo ancora volontà, decisione, coraggio, paura.
Siamo tutte le volte che ci è mancato il fiato dallo stupore, e tutte quelle che abbiamo preso a pugni il muro perché quell’ accidenti di cosa proprio non voleva riuscire.
Siamo i libri che abbiamo letto, le persone che abbiamo incontrato.
Siamo tutte le carezze che abbiamo ricevuto e anche quelle che non abbiamo ricevuto. Purtroppo per le carezze non esiste il neutro. Se non ho ricevuto una carezza è un fatto che è successo. È invisibile, ma è successo e fa anche male.
Che ne dite di partire dal visibile?
Geneticamente dato.
Il nostro corpo e il nostro cervello hanno un ordine interno, sono pensati per sopravvivere.
E accade anche nelle piccole cose, non solo in caso di rischio di vita.
Tutti quanti, credo, abbiamo esperito di sbattere un braccio, una mano, il mignolo del piede (aia!!!). Se vedete quella scena al rallentatore, accade una cosa che non ha molto senso, mettete una mano sul punto dove avete urtato.
È un raffinato meccanismo che, rallentando la reale percezione del dolore, permette al nostro cervello di fare infinite considerazioni in un sedicesimo di secondo per capire se portarci in salvo, oppure imprecare. Con il mignolo del piede è più frequente la seconda opzione 🙂
Cosa accade però se l’urto non è fisico?
Se sono spaventato? Stress.
Se vivo in una condizione di oppressione? Stress.
Se quella sensazione di incertezza persiste nel tempo? Stress.
Stress. Stress. Stress. Nel prossimo articolo parlerò di stress.
Nel prossimo articolo parlerò di stress.
Oggi vi voglio dare un potente strumento per prendere confidenza con la resilienza, che negli umani è una competenza complessa.
Supponete di voler uscire da una situazione stressante, qualunque essa sia.
Vorremmo che finisse subito, ma non finisce subito, quindi allo stress si aggiunge anche l’ansia.
Più voglio uscirne subito è più mi stresso e più ansia.
Una catena causale della quale un certo punto non si vede più l’origine.
Prendo in prestito un concetto dalla fisica: la forza di una catena si vede dalla resistenza del suo anello debole. Che si rompe fortunatamente! Ed è questo lo strumento che vi voglio dare. Per rompere una catena, bisogna rompere un anello! Uno solo.
Partiremo, e questo verbo non è scelto a caso, da qualcosa che abbiamo tutti quanti, “geolocalizzato” all’interno del nostro DNA. Qualcosa che è stato scoperto di recente, ma c’è sempre stato: vi presento il gene del viaggio e della curiosità. Bello, vi piace il nome?
In effetti il suo nome scientifico è meno attraente, DRD4 7r, somiglia più ad un personaggio di Guerre Stellari. È giusto anche specificare una cosa: il DRD4 7r non è la curiosità in sè, è il “bottone” con sopra scritto Start, cioè la funzione che hanno alcuni geni.
Torniamo a noi, cosa c’entra questo gene con la resilienza?
Se non avessimo questo gene, ci saremmo estinti da un pezzo!
Già, perché è quello che ti fa cercare, scovare, stanare soluzioni che non prevedevi.
Immaginare cose che non esistono e poi realizzarle.
Il vaccino del vaiolo è stato trovato nel pus. Fa un po’ senso, ma è così.
Abbiamo scoperto continenti interi dopo che qualcuno si chiese se la terra fosse piatta o tonda.
Abbiamo prima criticato l’arroganza di Icaro perché voleva volare e adesso spediamo sonde su Marte.
La curiosità è uno dei migliori antidoti all’incertezza.
I limiti, superabili, della curiosità
Anche stavolta parto da una buona notizia: la curiosità ha due grandi limiti MA possono essere superati con l’allenamento.
Il primo limite è l’abitudine, che abilita un altro meccanismo strano chiamato fissità funzionale di cosa si tratta? Siamo abituati ad usare i bicchieri per bere, lo facciamo tutti. A nessuno, o a pochi, viene in mente che potrebbe essere un supporto perfetto per lo smartphone in caso di necessità. E quindi quando mi arriva la videochiamata con l’amministratore delegato ma sono nella mia casa al mare, mi dispero perché non ho il supporto che ho solitamente in ufficio, senza pensare a crearlo con un altro oggetto.
Esempio stupido? Si, anche disperarsi per una cosa come questa 🙂
Immaginate cosa accade con una situazione più grave: per abitudine, a volte si rimane troppo tempo nello stress o nella sofferenza.
Il secondo limite della curiosità è più poderoso: a ragione o a torto, quando esploro con curiosità, posso percepire un rischio per la mia esistenza. Qui si innesca in automatico, a prescindere da quanto grande e reale sia il rischio, il sistema di sopravvivenza.
Quando interviene questo sistema, presente nel nostro cervello arcaico, si prende tutto lo spazio, ci deve salvare e deve essere veloce, non si può mettere a elaborare, lui reagisce.
Mi spiego meglio: se senti il rumore della frenata di un’automobile e inizi a pensare di quale modello sia, se ti piace, a quale velocità vada e via discorrendo, sei morto.
Invece il cervello arcaico dice, poco elegantemente: “Levati da lì! Poi ti spiego”.
Pensate a quando, una volta dichiarato il lockdown, avete svaligiato il supermercato di scatolette di tonno, fagioli, carta igienica. E lievito diventò un bene di lusso. Niente fronzoli.
Il cervello arcaico è così “c’è un pericolo, facciamo scorte, poi in caso si valuta”.
Beh, usiamola questa curiosità
Per usare la curiosità in modo profittevole dobbiamo fare un passaggio che può risultare complicato per questa epoca che semplifica tutto ad un giudizio giusto/sbagliato.
È molto più utile ragionare con altre categorie, come quelle del funzionale/non funzionale.
Il che prevede una certa dose di presenza mentale, la capacità di essere nel qui ed ora.
E come si fa?
Fermati
Respira
Pensa
Agisci
In questa precisa sequenza. Quattro passi nella curiosità.
È una tecnica che si insegna nella mindfulness e in tante situazioni “complicate”: ad esempio ho scoperto durante un mio corso che viene insegnata ai subacquei per salvarsi da situazioni pericolose.
Fermati
Respira
Pensa
E inizia
Inizia da cosa? Da dove ti pare.
Da leggere poche righe la mattina mentre fai colazione, dal progettare un nuovo viaggio, dal fare un piccolo esercizio fisico.
Inizia.
Poi penserai al secondo passo, al terzo, al quarto e così via. Ma inizia.
Perché è importante allenare la curiosità?
Perché viviamo in un VUCA World, un mondo estremamente complesso che necessita di trovare nuove soluzioni per vivere serenamente e per generare profitti.
La curiosità è la risorsa chiave per trovare più facilmente queste soluzioni.