SmartWorking

Smart Working dal giugno 2020 in poi

Consigli, pro e contro per costruire una strategia efficace di lavoro a distanza.

1.1       Introduzione

Italia, Marzo 2020.

Stiamo vivendo tutti un passaggio epocale della nostra società e tra le parole chiave di questo periodo c’è sicuramente lo Smart Working.

Ora tutti ne parlano ed è sulle prime pagine dei giornali perché c’è il nemico CoronaVirus da affrontare e si cercano le armi migliori. Al di là della sua diffusione e del suo tasso di letalità, un dato è certo: lo tsunami CoronaVirus sta stravolgendo completamente le nostre esistenze e tutta l’economia mondiale, imponendoci una distanza di sicurezza e il cambiamento del nostro rapporto con gli spazi: non condividiamo più una stanza o un open space in ufficio, ma il salone di casa, il balcone o un angolo studio. Stiamo quindi adottando piani di emergenza di lavoro e scuola da remoto.

E in questo momento stanno resistendo solo coloro che si erano attrezzati precedentemente.

La domanda è un’altra: perché ne parliamo solo ora quando è almeno un decennio che questa pratica è utilizzata e codificata?

In questo scenario c’è una prima buona notizia: di fronte alle emergenze, la burocrazia evapora, gli ostacoli si superano, gli investimenti arrivano, le procedure si creano velocemente e si mettono in atto. Diventiamo improvvisamente molto più agili di quanto siamo mai stati.

L’insegnamento è che si può fare. Anzi, ora sappiamo che si può fare.

Mentre affrontiamo l’emergenza per risolverla, sono tante le domande da porsi: cosa accadrà quando sarà finita? Le organizzazioni che ora lavorano a distanza, torneranno a lavorare in modo tradizionale? Quale sarà l’atteggiamento dei dipendenti ad un nuovo cambio?

Qui entriamo in gioco noi. Noi chi?

Sono Alessandra Ciabuschi, consulente che aiuta le organizzazioni a diventare smart e questo articolo è scritto a quattro mani con Martina, manager di una multinazionale che da anni applica lo smart working all’interno di un’azienda multinazionale.

Interno ed esterno, campo e regia, abbiamo riunito in questo “paper” i suggerimenti per chi è ancora all’inizio: i principi cardine dello smart working, alcuni elementi di più ampio respiro e, soprattutto, le considerazioni derivanti dalle nostre esperienze reali.

Partiamo quindi dalle informazioni necessarie per iniziare un ragionamento.

1.2       Cosa è lo Smart Working

Alcune definizioni ci aiutano ad inquadrare lo scenario, che è ben diverso da Smart Working = lavoro da casa.

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, lo Smart Working è “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.

Al di là delle definizioni normative, lo Smart Working si configura come un cambiamento epocale per una azienda, combina la necessità ultima di raggiungere obiettivi sempre più sfidanti, ma aprendo gli occhi ad un mondo che, negli ultimi 20 anni, è totalmente cambiato, perché sono cambiate le persone che lo abitano. Si è trasformata la famiglia, è cambiato il modo di stare insieme delle persone, sono cambiate le esigenze e le priorità.

Le aziende sono quindi costrette a prendere coscienza dell’evoluzione stessa della società, e adattare le proprie esigenze di fatturato a quelle dei dipendenti.

1.3       Quali sono i vantaggi dello Smart Working

Premessa d’obbligo: ogni cambiamento a dei vantaggi e svantaggi che devono essere valutati.

I dati raccolti in questi anni e la nostra esperienza concordano sul fatto che i benefici dello Smart Working sono molteplici e diversi.

  • Secondo L’Osservatorio del Politecnico di Milano: lo Smart Working migliora l’engagement dei dipendenti. Gli smart worker sono più soddisfatti del proprio lavoro (76% rispetto al 55% degli altri lavoratori), più orgogliosi dei risultati dell’organizzazione in cui lavorano (71% rispetto al 62%) e desiderano restare più a lungo in azienda (71% rispetto al 56).
  • La maggiore soddisfazione viene dall’organizzazione del proprio lavoro (il 31% degli smart worker contro il 19% degli altri lavoratori), ma anche delle relazioni fra colleghi (il 31% contro il 23% degli altri) e della relazione con i loro superiori (il 25% contro il 19% degli altri).
  • Oltre alla soddisfazione del dipendente, per l’azienda ci sono ulteriori benefici concreti:
    • Le richieste di permessi e le giornate di malattia possono diminuire sensibilmente (in alcune realtà sono dimezzate), grazie alla migliore organizzazione lavoro/vita privata e una maggiore flessibilità del dipendente
    • L’ottimizzazione degli spazi e l’utilizzo del remote working permettono di risparmiare sulle spese legate al Real Estate (numero di postazioni, canone di locazione, spese vive in facilities, etc) e ai consumi energetici
    • La maggiore fidelizzazione dei dipendenti evita la dispersione del know how, la necessità di sostituire le posizioni lavorative, lunghi tempi di “onboarding” delle nuove risorse
    • Il risparmio economico consente di riallocare gli investimenti in maniera efficace ed efficiente , spostandoli dalle spese “vive” come ad esempio, campagne di marketing, sales etc.
  • C’è un reale risparmio di emissioni di CO2, come si è potuto notare in vari studi, ma in questi giorni viviamo una situazione eccezionale di un “Laboratorio Live”: nelle prime settimane di remote working in Lombardia e in tutta Italia per l’emergenza CoronaVirus, dalle foto satellitari è evidente la drastica riduzione di smog in tutte le zone.
  • C’è anche un ulteriore aspetto “green” da considerare, legato a sua volta all’ottimizzazione degli spazi: diminuendo da un lato la dimensione degli edifici, dall’altro la permanenza dei lavoratori negli uffici, conseguentemente si riducono anche i consumi energetici.

1.4       Parla la manager d’azienda

Sono Martina e sono felicemente una smart worker dal 2015.

La mia azienda ha oltre 1.000 dipendenti ed è una di quelle che ha investito sullo smart working da più di 6 anni: è stata un’attività quasi pionieristica allora, tanto abbiamo fatto che quando è uscita la normativa, nel 2017, i nostri processi, le policy e le procedure erano più favorevoli della normativa stessa e abbiamo dovuto capire come recepirla senza perdere i vantaggi acquisiti.

Siamo stati talmente all’avanguardia che, in questa situazione d’emergenza, abbiamo potuto mettere tutto l’ufficio di Roma in quarantena già da quando si sono verificati i primi casi in Lombardia, quel fatidico 21 febbraio.

Senso civico e responsabilità sociale, valori per cui la ringrazio.

Sono fortunata, lo ammetto. Perché la strada per lo smart working non è lineare e prevede un impegno strutturato, da parte dell’azienda e dei dipendenti.

Come tutti i cambiamenti, è stato un progetto complesso, lungo, inizialmente difficile da interpretare, in seguito difficile da far abbracciare all’intera popolazione. Abbiamo fatto le cose per bene, e ancora prima di cominciare abbiamo creato un gruppo di lavoro a tutti i livelli, con la sponsorship del top management.

Abbiamo lavorato quasi 2 anni: cambiato sede, cambiato tipologia di postazione, creato diverse figure di smartworker (hub/sales) a seconda del tempo che ciascuno di noi poteva passare in uffiio e a casa; abbiamo fatto tanta formazione preventiva e quasi un anno di formazione a seguito del cambio sede.

Adesso prenotiamo il desk e le sale riunioni con una applicazione sul telefono, ci colleghiamo in videoconferenza dal nostro mobile o dal PC. Non solo, visto che siamo un po’ decentrati, le soluzioni smart si sono ampliate ad altri aspetti: abbiamo cucine e spazi ricreativi ad ogni piano; abbiamo servizi specifici di delivery, servizi di pagamento utenze, lavanderia; abbiamo la palestra, ulteriori spogliatoi per chi volesse arrivare in bicicletta o andare a correre in pausa pranzo; una ludoteca per tenere i bimbi in caso le scuole siano chiuse.

Insomma, un modo completamente diverso di lavorare e di pensare al rapporto persona/lavoro. Più integrato, più vicino alle esigenze, più realistico.

Da dipendente posso dire di aver seguito le indicazioni, ma di aver lavorato sodo per costruire la mia flessibilità e quella dei miei collaboratori, giorno dopo giorno, imparando dalle evidenze e dalle esigenze che mano a mano si presentavano. Tutto questo portando a casa gli obiettivi di business.

Chiaramente è stato un percorso, e non sempre lineare. Siamo caduti e ci siamo rialzati molte volte.

Un Miracolo? No. Questione di empatia, organizzazione, focus, resilienza.

1.5       cosa ne pensa la Consulente

Sono Alessandra Ciabuschi, consulente e Coach che segue le aziende nei processi di cambiamento. Concordo con Martina, non solo non si tratta di un miracolo, ma non è nemmeno la panacea per tutti i mali.

Anzi in queste giornate ansiose, mi capita di sentire clienti che, non essendo abituati a questa modalità, avendo dovuto implementarla d’urgenza, mi dicono che si sentono un po’ stanchi. Ne riconoscono i meriti sicuramente, ma fanno fatica a settare gli strumenti, a volte le call conference partono in ritardo, non conoscono le regole di “galateo”, come il semplicissimo tasto “mute” quando non si sta parlando o come chiedere la parola, e si fa un bel po’ rumore.

Ci si stanca anche perché non si è abituati a stare a casa propria fermi per ore in riunioni virtuali. Ci si dimentica di sgranchirsi le gambe. Non si tiene conto di quale posto sia più opportuno.

Ci si stanca perché “Ti rendi conto che non capisce che sto lavorando?”, mi ha detto una Manager mentre era appunto in video conferenza con me, riferendosi a un suo familiare.

Ci si stanca un po’, all’inizio, anche quando le cose sono fatte bene, non dettate dall’urgenza.

Vogliamo quindi sostenere chi si trova ancora all’inizio del viaggio, riunendo informazioni oggettive e considerazioni derivanti dalla nostra personale esperienza.

1.6       Cosa deve fare un’azienda per iniziare lo Smart Working

Partiamo da un presupposto: lunga vita allo smart working, che quando viene sviluppato correttamente, genera enormi vantaggi per l’azienda, i dipendenti, e l’intera comunità.

Come abbiamo visto tra i benefici, osservando i risultati degli studi, lo smart working funziona. Piace ai dipendenti, migliora il cosiddetto “work-life balance”, aumenta la fidelizzazione e l’ingaggio. Piace alle aziende che lo intraprendono, con benefici economici rilevanti.

La prima domanda che allora ci facciamo è: come mai, se ci sono così tanti benefici, perché non lo adottano tutte le aziende? Come mai nel 2019 la percentuale di grandi imprese che ha avviato al suo interno progetti di Smart Working è solo del 58%, con una crescita del 2% rispetto al 2018? (Fonte Osservatorio Smart Working PoliMi).

Ci sono tanti fattori che rallentano la diffusione dello Smart Working.

In primis può esserci una motivazione di carattere tecnico.

Non tutti i lavori sono pensabili in modalità smart. Pensiamo ad esempio ad una catena di montaggio, ad un capannone di produzione; a laboratori chimici, farmaceutici; a tutti quei lavori per cui è necessaria una attrezzatura specifica. Ci sono dei primi progetti di rivisitazione degli spazi per permettere almeno l’eliminazione dei turni fissi, la rivisitazione degli spazi, l’organizzazione delle attività così da permettere lo svolgimento di almeno alcune da remoto.

Il panorama italiano è ancora indietro da questo punto di vista.

Pensiamo quindi ad aziende di servizio, a specifici reparti di aziende di prodotto (Sales, Marketing, Back office, etc) a cui per lavorare servono essenzialmente un computer, un tool di messaggistica, un telefono e una connessione. Che resistenze possono trovare?

Ci sono, temi principali, totalmente interconnessi:

  1. Priorità e investimenti: implementare lo SW richiede tempo, investimenti consistenti a 360 gradi in tecnologie, spazi, processi/procedure, training; richiede un progetto costruito ad hoc, quindi molto impegno da parte delle persone (con conseguente perdita di focus dagli obiettivi di business). Spesso i progetti di SW partono proprio con una esigenza di rinnovare/ottimizzare gli spazi. In assenza di questa spinta, è difficile che una azienda parta con un progetto che si possa veramente chiamare di SW. Il fatto che lo SW sia un benefit per i dipendenti è sicuramente un plus, ma difficilmente è la molla scatenante (prima di questo ci possono essere altre iniziative di welfare benaccette ma che necessitano di un impegno più contenuto).
  2. Tecnologie: la tecnologia è fondamentale e deve evolvere in base alla tipologia di prodotti/servizi offerti dall’azienda. Il kit essenziale prevede una rete aziendale VPN, dei server adeguati, degli spazi di archiviazione; questo è il minimo sindacale per una azienda di servizi piccola e medio piccola. Laddove invece è previsto un contact center e strumenti di monitoraggio individuale (ad esempio il call recording) la situazione si complica, e sono necessari molti più investimenti in software, e un progetto molto avanzato. Quindi può darsi che il lavoro sia fattibile da casa (vedi rispondere al telefono ai clienti), ma l’azienda non si sia ancora dotata di tutta la tecnologia necessaria.
  3. Un problema di cultura del management: lo SW è una “nuova filosofia del lavoro”, e in quanto tale necessita di un cambio di paradigma da parte di tutti gli interessati. Si passa dalla logica di quantità di lavoro a quella di qualità e raggiungimento di obiettivi. Questo prevede un cambiamento radicale nella cultura manageriale e la costruzione di un rapporto di fiducia vera, concreta e radicata nei propri dipendenti. Ci si scontra quindi con una resistenza culturale principalmente su due fronti:
    • Bisogna staccarsi dai concetti di controllo e di presenza=produttività. Anche adesso con lo SW dilagante si crede che la produttività sia misurata in ore, quando i grandi giganti della Silicon Valley, così come tutte le start up, ci insegnano che l’orario di lavoro, la presenza, il controllo fisico niente hanno a che fare con l’efficienza. Certo, delle regole servono. Ma vanno definite ad hoc sulla base dell’azienda, dei dipendenti, degli strumenti tecnologici e degli obiettivi. E tutto questo è faticoso.
    • Va cambiato completamente il rapporto capo/dipendente. Le gerarchie si appiattiscono, non esistono più uffici e porte chiuse, tutto il middle management lavora gomito a gomito con il team, capita di parlarsi a telefono o di farsi videochiamate in tuta da casa. Questo comporta un rapporto molto meno gerarchico ma incentrato sulla collaborazione e sulla fiducia, e in cui è la leadership che prende il sopravvento, non la posizione. E di leader non ce ne sono tanti. Può sembrare banale, ma è un punto cardine.
  4. Un problema di cultura dei dipendenti: Il dipendente smart è autonomo, ingaggiato, proattivo, focalizzato sull’obiettivo. Vero che molti di questi aspetti dipendono anche dal datore di lavoro, ma vero anche che è un discorso di reciprocità. Non possiamo pretendere che il nostro capo ci faccia entrare/uscire sulla base delle nostre esigenze se non siamo in grado di organizzare la giornata, rispettare le scadenze, prendere delle decisioni (anche minime), avere una visione più di insieme. Se vogliamo fiducia ed elasticità dobbiamo essere pronti a darla a nostra volta (ad esempio: nel caso ci sia una riunione imprevista in orari serali, non accampare la scusa che è fuori orario di lavoro).

Da questi elementi siamo partite per rispondere insieme ad una domanda: cosa dovrebbe fare da subito un’azienda per approcciare lo Smart Working?

Abbiamo identificato tre-macro regole:

  1. Smart working non è solo lavorare da casa. Quella è solo una delle componenti, ma da sola non crea una nuova cultura, anzi se non formate le persone rischiano di stancarsi di più, a prescindere dal ruolo ricoperto.
  2. Smart working non è solo un progetto con una data di scadenza. È un nuovo modo di lavorare, che prevede un progetto, ma che poi deve essere alimentato nella normale gestione aziendale. Per questo è indispensabile Formare un gruppo di lavoro costante che monitori i kpi dello smart working e pensi a soluzioni successive (ad esempio, che fare quando aumenta il personale; come evolvere nello smart working con nuove soluzioni)
  3. Infine, inutile imbarcarsi in questo progetto prima di aver creato la cultura aziendale adatta, pronta ad abbracciare il cambiamento e a cambiare completamente il proprio modo di vivere il lavoro. Ogni progetto sarà destinato a naufragare o al massimo diventare fine a sé stesso. Il primo investimento fondamentale è sulla formazione, in primis del top management, a seguire middle management per poi arrivare a tutti i diversi livelli.

1.7       Come possiamo aiutarvi?

L’ultima domanda che ci siamo poste è stata: forniti i dati, identificati gli scenari, come possiamo aiutare ulteriormente le aziende che vogliono iniziare lo Smart Working?

Abbiamo entrambe un’esperienza ventennale nei rispettivi lavori, e da diversi anni siamo coinvolte con ruoli diversi nei processi di Smart Working.

Quindi innanzitutto vi possiamo aiutare mettendo a disposizione le nostre esperienze congiunte, di chi ci è passato da dentro e da fuori, semplificandovi i passaggi, sia di natura tecnica (normativa, utilizzo dei software, analisi della situazione attuale, impatti ect.) che, a nostro avviso più importante, culturale.

Viviamo nel cosiddetto VUCA World: un mondo fatto di incertezze, che cambia velocemente e, in molti casi, per via di situazioni mai esplorate prima. In questo contesto è necessario essere agili, avere una cultura aziendale orientata al cambiamento continuo e alla flessibilità, che lo Smart Working può allenare ed aiutare.

Successivamente, costruendo insieme percorsi ad hoc, calibrati sulle persone e sui processi.

Abbiamo già sperimentato anche tavole rotonde tra aziende per scambiarsi best practice, con il duplice risultato di aiutare non solo l’implementazione dello SW, ma anche di creare altre forme di business tra gli interlocutori.

Usciamo, per favore fuori dalla logica del bicchiere mezzo pieno e del non tutto il male viene per nuocere,

e diciamoci fuori dai denti che è una questione di scelta, che un’esperienza non è ciò che accade, ma cosa decidiamo di farci con ciò che è accaduto.

Saremmo già a buon punto.

Alessandra Ciabuschi 

Senior Consultant & Coach

https://it.linkedin.com/in/alessandraciabuschi

Martina 

Senior Manager

https://www.linkedin.com/in/martinasconcerti/