Smart-Working

Lo Smart Working è diventato improvvisamente popolare in Italia durante l’emergenza per il Coronavirus.
Da febbraio 2020 abbiamo vissuto un’accelerazione epocale della nostra società, che ha dovuto velocemente prendere le misure con un nuovo modello di vita e di lavoro.
Ali di là delle valutazioni sul Coronavirus, c’è un fatto reale: ci ha imposto distanze di sicurezza, minor condivisione dei luoghi fisici, maggior uso della tecnologia. Si sente dire frequentemente “nulla sarà come prima” ed io rispondo…

Non lo so, l'unica certezza è che lo smart working c’era anche prima”.

Come professionista specializzata in Smart Working, nel quale supporto sia le organizzazioni sia le singole persone, non posso negare di essere felice della sua improvvisa, e meritata, popolarità.
Mi preme però sottolineare che lo Smart Working non è “lavoriamo così fino alla fine dell’emergenza”, non è “lavoriamo tutti da casa” e non è “Vediamoci tutti su Zoom”.

Lo smart working non è nato a febbraio 2020, è un processo che ha anni di applicazioni ed efficacia comprovata alle spalle, con centinaia di aziende e istituzioni che in tutto il mondo lo hanno adottato come modello di lavoro parziale o totale.

Ho quindi fatto su me stessa quello che faccio con i miei clienti, le domande utili: cosa c’è stato di buono in questo improvviso successo dello Smart Working? Che valore posso aggiungere io?
Ho quindi pensato di fondere la mia esperienza con quella di una manager che lavora in Smart Working da anni nella sua azienda multinazionale.
Ne è uscito un white paper che credo sia utile a tutti, ancora di più a quelle organizzazioni che vogliono cogliere l’occasione di rendere più agile la loro struttura.