Spaesati
“Come stai?”
“Meh…”
“Che vuol dire?”
“Non lo so”.
Breve dialogo tra il 2019, che chiede al 2021 della sua salute, e il 2021 che non ha idea di quale stato d’animo stia vivendo.
Non sta proprio male, ma nemmeno troppo bene.
Languore: ecco cos’è quell’emozione che non sapevamo di provare e che quindi non ci sognavamo nemmeno di definire.
Quel “bene, dai” pudico, che rispondiamo quando ci chiedono come stiamo.
Ora sappiamo darle un nome.
Hai presente quel sentimento strano per cui non sei mai felice ma non puoi dire nemmeno di essere davvero triste?
In inglese “Languishing”, come l’ha definito il sociologo americano Corey Keyes e come lo ha chiamato anche il mio collega Adam Grant, psicologo alla University of Pennsylvania.
Questo è il sentimento che ci accompagnerà 2021, l’eredità che la nostra mente ha ricevuto dalla pandemia.
Ma cos’è esattamente il LANGUORE?
Sarà capitato anche a te di non capire bene cosa ti stesse succedendo, di essere anche “indifferente alla tua indifferenza”, e questa è la cosa peggiore, perché se non sai cos’hai, contro cosa reagisci?
Languiamo un po’ tutti, chi più chi meno, a causa del Covid-19 e di tutto ciò che ha portato con sé. Se non abbiamo a che fare con una perdita fisica, abbiamo comunque a che fare con la perdita della normalità che vivevamo prima della pandemia, immersi nell’alternanza di decisioni non nostre, con la paura che richiudano tutto.
Se i medici lavorano ogni giorno sui sintomi fisici, molti devono lottare contro gli effetti emotivi a lungo termine dovuti a tutta questa situazione.
Scomodo un attimo Dante, parafrasandolo: potremmo dire che chi soffre di languore è come se fosse “sanza ‘nfamia e sanza lode”, senza gioia e senza dolore, senza depressione e senza prosperità. Senza malessere, ma anche senza benessere.
‘Senza’, sostanzialmente.
Ed è lì il danno! È proprio quel vuoto che fa male, è di quell’assenza che stiamo parlando.
‘Languore’ è soprattutto un’emozione. E dare un nome alle emozioni serve a riconoscerle e, di conseguenza, ad affrontarle a gestirle.
Mai a soffocarle, reprimerle, che sarebbe un danno assai peggiore.
Sempre il mio collega Adam Grant, in un articolo pubblicato sul New York Times, trattando questo argomento, usa una metafora che mi ha colpito molto perché rende bene l’idea. Lui dice che “è come se guardassi la tua stessa vita attraverso un finestrino appannato”. Ed è proprio così, come se non avessi ben chiara la situazione, la tua situazione.
La nostra mente non sta poi così in forma! Guardiamoci intorno, siamo in buona compagnia, perché “languire è comune e condiviso”, come dice Grant.
Quel vuoto che hai, che abbiamo dentro si trova tra tutto ciò che provi di positivo e tutto ciò che puoi provare di negativo.
Quali sono le conseguenze del languore?
Pensaci.
- Hai perso di vista la tua motivazione?
- Hai difficoltà a concentrarti?
- Non hai voglia di fare, né di uscire?
- Finalmente puoi fare cose, ma ti stanchi prima?
- Ti lasci andare serenamente alla solitudine?
- Non riesci a vedere il motivo della tua stessa in-sofferenza?
- Noti in te una sorta di apatia?
Allora probabilmente sì, stai languendo. Anzi, stai soffrendo di languore! Perché, anche se non sei triste, non sei depresso, non vuol dire che tu non stia soffrendo, che la tua mente non stia soffrendo.
E sai quando vedremo gli effetti di questo stato d’animo? Se non cominciamo da subito a confrontarci con tutto quello che stiamo vivendo nel profondo, già nel prossimo decennio avremo molte più probabilità che a molti venga diagnosticato il ‘disturbo post-traumatico da stress’, un disturbo d’ansia che colpisce chi ha vissuto eventi particolarmente traumatici. Mi spiego meglio, ne soffrono, per esempio, i reduci di guerra. E quello che stiamo vivendo, un po’ ci somiglia, continuamente nei TG o in alcune interviste, che ormai faccio davvero fatica ad ascoltare, si sente usare questa parola.
Sono un po’ fissata con le parole, quella corretta, per definire ciò che è accaduto e sta accadendo è sindemia.
Guerra è più immediato.
Il rimedio al languore c’è
Per questo voglio invitarti ad ascoltarti, a capire cosa provi nel profondo, perché la chiave della soluzione è nella consapevolezza. E’ il primo passo, poi ce ne sono altri due.
Adesso quella risposta al “come stai?”, quel “meh”, deve trovare dei limiti.
Pensa a qualcosa che ti appassiona, che ti fa star bene, che fai senza renderti conto del tempo che passa mentre lo stai facendo. Puoi porre il limite al languore facendo proprio quella cosa lì.
Cerca qualcosa che ti doni un senso di progresso, qualcosa che sai che si sta trasformando e si sta evolvendo grazie all’attenzione e alla dedizione che ci stai mettendo.
Questa può essere una soluzione perché dobbiamo ritagliarci del tempo ininterrotto solo per noi e per ciò che ci piace.
In inglese si chiama flow, flusso. Serve a ricaricare le energie.
Abbiamo portato il lavoro a casa, se non lo abbiamo perso, e le distrazioni sono state tante in questi ultimi mesi. Magari lavoravi con tuo figlio che ti chiamava ogni due minuti, o facevi una videoconferenza tra i fornelli, una lavatrice e un’asciugatrice. Questo favorisce quel dolore non dolore che è il languore, la spossatezza e lo spaesamento.
Bisogna eliminare, per quanto possibile, le distrazioni e dobbiamo concederci la libertà di concentrarci su ciò che ci va di fare. Anche per intervalli di tempo non per forza lunghissimi, ma che stabiliamo e scegliamo noi per noi stessi.
Dobbiamo raggiungere piccole ma continue vittorie ogni giorno ponendoci dei piccoli obiettivi.
Dobbiamo, insomma, lasciar fluire.
Il flusso lo viviamo, appunto, solo quando facciamo qualcosa, ma proprio qualsiasi cosa, che ci fa star bene e che ci fa dimenticare dell’orologio.
Cerchiamo di sbrinare quel finestrino appannato e di identificare chi c’è lì dietro, magari specchiandoci e realizzando che sia di qua che di là di quel vetro ci siamo sempre noi. Ed è a noi che dobbiamo far tornare l’entusiasmo e la gioia, facendo fluire la pioggia e la tempesta, senza permetterle di appannare ancora il nostro finestrino.